lunedì 4 ottobre 2010

Ernesto Rossi: La bussola della laicità, ieri e oggi.

Ho deciso di inviare senza modifiche e quasi integralmente una mia relazione del 1998 ad un convegno dedicato al centenario della nascita di Ernesto Rossi che nella mia Città, Verbania, conobbe il carcere negli anni bui della dittatura fascista. Rileggendo la mia relazione, gli interventi a quel convegno e ripensando soprattutto a Rossi ci si accorge di come l’attualità di quei contenuti e di quelle riflessioni sia aumentata  anziché diminuire. Questo perché oggi, a distanza di dodici anni, da una parte abbiamo assistito ad una recrudescenza mondiale degli integralismi religiosi  ed a una riapertura drammatica dei conflitti di religione e dall’altra ad una crisi radicale dei livelli di laicità nel nostro malandato Paese. Fecondazione assistita, testamento biologico, ricerca scientifica, unioni civili: su questi e su molti altri temi in questi anni si è scatenata una offensiva senza pari del fronte confessionale, alla quale, bisogna riconoscerlo, non ha retto una “diga” laica, troppo fragile e frammentata. Ma non è tutto. Purtroppo. Oggi assistiamo addirittura ad un attacco potentissimo al concetto stesso, al principio ed al significato stesso del termine “laicità”. Si vorrebbe una epurazione linguistica ed una capitolazione semantica del termine laicità. Si vorrebbe toglierla ai laici. Con operazioni simboliche come il revisionismo attorno alla commemorazione del XX Settembre, oppure con incursioni fortissime del clero nella promozione di una “nuova laicità”: che semplicemente è “non laicità”. Per questo ricordare figure come quella di Ernesto Rossi non è solo una pur utile commemorazione storica di un personaggio dei più importanti della nostra storia, ma significa soprattutto guardare al qui ed ora. Anzi al domani.
Fabio Ruta


FABIO RUTA
LA BUSSOLA DELLA LAICITA’, IERI E OGGI *

Questo primo appuntamento del Convegno dedicato al centenario della nascita ed al trentennale della morte di Ernesto Rossi, nella città che lo conobbe detenuto antifascista di Giustizia e Libertà, prende il titolo da un’opera, “Il manganello e l’aspersorio” (1958), allo stesso tempo di fondamentale importanza per la comprensione del pensiero laico e anticlericale del Rossi e di interesse storico e storiografico.
Il manganello e l’aspersorio è un testo prezioso che contiene una mole impressionante di note bibliografiche e citazioni  della stampa d’epoca, in particolare di quella cattolica, come la rivista dei gesuiti “La Civiltà Cattolica” e il giornale della Santa Sede “L’Osservatore Romano”, e di quella fascista come “Il Popolo d’Italia”. Attraverso lo studio di numerose fonti, tra cui le encicliche del Vaticano e le dichiarazioni del Duce e dei massimi esponenti della gerarchia fascista, Ernesto Rossi ricostruisce il complesso rapporto tra chiesa e fascismo (e tra chiesa e nazismo, tra chiesa e regimi autoritari).
Il Rossi, portando a sostegno delle sue tesi una infinità di esempi, Considera il Vaticano, al pari della Confindustria e della grande imprenditoria di allora, un soggetto fortemente corresponsabile della ascesa al potere di Mussolini e del perdurare del regime fascista.
Quello fra fascismo e chiesa sarebbe stato un matrimonio di interessi nel quale Mussolini rinunciava alla campagna antireligiosa delle origini e imponeva la religione cattolica come religione dello Stato, l’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche e il radicarsi di istituti privati di diretta osservanza confessionale; operava un forte sostentamento economico agli istituti bancari della chiesa in crisi (è il caso del Banco di Roma), moltiplicava i finanziamenti pubblici al clero. Lanciava, insomma, una intesa forte fra regime e chiesa volta a superare la separazione fra religione e nazione operata dal liberalismo e dal risorgimento. (Ma non si può non ricordare che la separazione tra stato e chiesa  e soprattutto la radicale opposizione alla presenza in politica delle ingerenze della gerarchia ecclesiastica era un tratto fondamentale anche nel codice genetico delle ideologie socialiste. Tanto il socialismo riformista quanto quello rivoluzionario subirono il fascino delle teorie marxiste sulla “religione come oppio dei popoli”, mentre i movimenti anarchici e antiautoritari si ispiravano apertamente al pensiero anticlericale del filosofo cosmopolita russo Michail Bakunin – che scrisse il noto testo “Dio e lo Stato”, la cui edizione italiana conobbe la prefazione, nel 1887, di Filippo Turati. Era diffusa opinione fra le sinistre comuniste, socialiste, anarchiche che la religione dovesse rimanere un “fatto privato” e che per mezzo della elevazione delle condizioni materiali delle masse proletarie si potesse liberare queste ultime dal bisogno religioso. Anche in presenza di posizioni talvolta ambigue dei partiti storici di riferimento queste opinioni nel popolo della sinistra, pur con forti diversificazioni fra le diverse anime, nel corso della storia sono rimaste diffuse e presenti).
La scelta di Mussolini ovviamente comportava un prezzo alto, e il fascismo contemporaneamente reprimeva aspramente  nel sangue, disperdeva ed aggrediva quelle realtà cristiane, cattoliche e popolari che si opponevano all’instaurarsi di un regime autoritario che informava di sé, con la violenza, ogni sfera della vita pubblica, sociale, civile. Al centro delle ricerche del Rossi vi furono più aspetti che connotarono diversi pontificati, ma l’obiettivo si ferma con maggiore insistenza sul regime pattizio e concordatario siglato fra Mussolini e il Vaticano di Pio XI. Regime che si sostanzia  nella unicità della religione cattolica quale religione dello stato. Il concordato e i Patti del Laterano, con i loro contenuti di favore, porteranno Pio XI a definire il duce come “l’uomo della provvidenza”. Colui cioè che colpo dopo colpo, in cambio della benedizione delle gerarchie ecclesiastiche, aveva demolito il concetto di separazione tra stato e chiesa.
Quello stesso “uomo della provvidenza” che, scriverà il Rossi “aveva mandato in esilio, in galera o all’altro mondo i più valorosi difensori della democrazia e trasformato il Parlamento in una claque di applauditori a comando”. Nella introduzione ai suoi numerosi scritti Ernesto Rossi ama avvalersi di citazioni che contengono il senso della sua opposizione al potere politico della chiesa cattolica. Così introdurrà nel ’66 la raccolta di scritti “Pagine Anticlericali” citando un passo dai “Quadarni dal carcere” di A. Gramsci:
“Per comprendere bene la posizione della chiesa nella società moderna, occorre comprendere che essa è disposta a lottare solo per difendere le sue particolari libertà corporative (di chiesa come chiesa, organizzazione ecclesiastica), cioè i privilegi che proclama legati alla propria essenza divina; per questa difesa la chiesa non esclude nessun mezzo, né l’insurrezione armata, né l’attentato individuale, né l’appello alla invasione straniera. Tutto il resto è trascurabile relativamente, a meno che non sia legato alle condizioni esistenziali proprie. Per “dispotismo” la chiesa intende l’intervento dell’autorità statale laica nel limitare e sopprimere i suoi privilegi, non molto di più: essa riconosce qualsiasi potestà di fatto e, purché non tocchi i suoi privilegi, la legittima; se poi accresce i suoi privilegi la esalta e la proclama provvidenziale”.
Ma la critica di Rossi alla chiesa cattolica non si ferma alla critica delle collusioni con il fascismo, né alla denuncia del ruolo delle gerarchie ecclesiastiche nella “guerra santa di Abissinia”, o di quello giocato dai gesuiti nel capitolo amaro delle persecuzioni antisemite e antiebraiche, né ancora alla sempre forte denuncia rivolta a Pio XII (papa Pacelli ancora cardinale fu il massimo artefice nel 1933 del concordato con la Germania) che di fatto con un radio-messaggio del 16 Aprile ’39 e successive dichiarazioni benedì la efferata controrivoluzione in Spagna a opera del generale golpista Franco. La critica di Rossi al clericalismo di cui si può trovare traccia in numerosi scritti, come Il Sillabo, e in molti articoli del dopoguerra è una critica ancor oggi attuale poiché concepisce la laicità dello stato come il fondamento di un patto di cittadinanza fra credenti e non e fra confessioni diverse. Egli fu un forte critico dell’art. 7 della Costituzione italiana, fu un forte oppositore dei concordati e uno strenuo difensore della libertà di coscienza contro il dogma e la dottrina. Discepolo di Salvemini fa propria la seguente dichiarazione del suo maestro: “E’ solo dopo essere vissuto in paesi protestanti che io ho capito pienamente quale disastro morale sia per il nostro Paese non il cattolicesimo astratto,  che comprende 6.666 forme di possibili cattolicesimi, fra cui quelle di S. Frencesco e S. Gasparone, di Savonarola e di Molinas, di Santa Caterina e di Alessandro VI, ma quella forma di “educazione morale” che il clero cattolico dà al popolo italiano e che i papi vogliono sia sempre data al popolo italiano”.
In qualità di studioso e giornalista, scrittore e uomo di pensiero svincolato da rigide appartenenze di partito, si occupa dei rapporti fra chiesa e stato attraverso la lettura di diversi aspetti quali l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole e le modalità di finanziamento del Vaticano nonché le ingerenze delle gerarchie ecclesiastiche nel dibattito sociale e politico. Così scrive nella già citata introduzione alle Pagine Anticlericali:  “Ritengo che il Vaticano sia oggi il più pericoloso centro di coordinamento e direzione delle forze reazionarie di tutto quanto il mondo”  e denuncia la censura che i testi in favore della laicità incontrano nel mondo della editoria scrivendo: “l’editore che si volesse mettere controcorrente dovrebbe rinunciare alla pubblicazione dei libri scolastici e temere il boicottaggio governativo”. A posteriori queste dichiarazioni espresse nella introduzione alle Pagine Anticlericali  possono far riflettere, a maggior ragione se si considera che molti scritti del dopoguerra di impostazione laica sono a tutt’oggi fuori catalogo e sostanzialmente non rintracciabili (…).
Proprio da questo Convegno può venire un appello al mondo della editoria affinché acquisti maggiore sensibilità e ripubblichi materiali che altrimenti andrebbero persi alla memoria storica collettiva e alla conoscenza delle generazioni future. Ancora dalla discussione di questa sera mi aspetto, oltre all’approccio storico che i relatori sicuramente sapranno offrire al pensiero e all’opera di Ernesto Rossi, anche una qualche riflessione sulla attualità che quel modo di guardare alla società di allora può avere rispetto alla società di oggi. Sull’attualità e centralità dei rapporti che intercorrono oggi, e non ieri,  fra il nostro stato e la chiesa cattolica, sul concordato che oggi regola tali relazioni, ma anche sul ruolo che tutt’ora ricopre il Vaticano non mancando di intervenire per condizionare le politiche nazionali, come nel caso della cosiddetta “parità scolastica”, e levando alta la sua voce ogni qualvolta tematiche a connotazione “etica” si affacciano sulla scena del dibattito politico. Ciò avviene con una massiccia ed invadente presenza nei mezzi di comunicazione di massa, siano questi carta stampata o emittenti radiofoniche e televisive, sia la loro proprietà “privata” o rispondente al “servizio pubblico”. Ernesto rossi era un antifascista sicuramente libertario poiché esaltava il libero arbitrio, la libertà di scelta e coscienza, dunque quelle che possiamo definire le libertà ed i diritti civili. Diritti civili che possono concretizzarsi solo dentro a un quadro certo di una piena laicità dello stato, che in Italia appare ancora dimezzata e precaria; basti pensare al meccanismo di finanziamento del clero attraverso l’otto per mille IRPEF regolato da modalità dubbie che ammettono alla distribuzione  di questa quota di gettito fiscale, oltre allo stato, solo confessioni religiose, riconoscendone alcune e negando lo stesso riconoscimento ad altre, ma soprattutto escludendo a priori da queste ripartizioni  le realtà laiche del volontariato, come quella della ricerca medica e scientifica o della lotta alla fame ed al sottosviluppo. Ancora la laicità dello stato appare minacciata dalla potente influenza, nella vita politica come nell’humus socio-culturale del Paese, delle posizioni della chiesa contrarie alla maternità consapevole, al riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali e lesbiche, alla riforma delle fallimentari leggi proibizioniste in materia di droghe.
In difesa della libertà di coscienza Ernesto Rossi scriveva proprio ne Il manganello e l’aspersorio: “Solo una netta separazione del potere civile dal potere ecclesiastico; solo il divieto rigoroso a tutti i preti di intervenire, come preti, nella vita politica, solo la riduzione della religione ad affare strettamente privato può consentire alla democrazia di svilupparsi nel senso da noi desiderato”.
Da queste riflessioni può venire un appello al mondo politico affinché ritrovi la bussola della laicità necessaria a costruire quel terreno di libertà, tolleranza e diritti che renda possibile una giusta convivenza fra le diverse religioni, culture e visioni del mondo. Ciò è necessario alle soglie di un terzo millennio che si annuncia ricco di migrazioni, che si vuole aperto alla mescolanza di culture e civiltà e lontano dagli integralismi.

·         Relazione di Fabio Ruta a “Ernesto Rossi: economista, federalista, radicale” Convegno per il centenario della nascita di E.R., tenutosi a Verbania il 23-24-25 gennaio 1998. Promosso da Provincia del Verbano – Cusio – Ossola, Partito Radicale, Comitato Ernesto Rossi. Sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica, in collaborazione con la Direzione della Scuola di Polizia Penitenziaria di Verbania. Patrocinato da Regione Piemonte, Provincia del VCO, Comune di Verbania, Banca Popolare di Intra. Gli atti del convegno sono pubblicati nel volume “Ernesto Rossi – Economista, federalista, radicale” A cura di Lorenzo Strik Lievers, introduzione di Emma Bonino – Marsilio (2001).


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